I tempi sono maturi per cominciare a interrogarsi su quella che viene chiamata “democrazia elettronica”, ossia la democrazia esercitata attraverso gli strumenti dell’information technology, con la consapevolezza che, benché la tecnologia non sia né buona né cattiva né neutrale (come dice lo storico della tecnologia Melvin Kranzberg), essa inevitabilmente condiziona il nostro modo di agire creando “affordances”, possibilità di azione, che prima non esistevano. Non si tratta quindi solo di studiare ciò che di nuovo è possibile fare, ma anche il modo nuovo in cui è possibile fare cose vecchie, consapevoli che il modo è in grado di determinare il senso dell’azione (secondo la lezione di Marshall McLuan “il mezzo è il messaggio”). Non si tratta ovviamente di sposare concezioni essenzialistiche della tecnologia (se tali concezioni sono pure possibili), ma di indagare il modo in cui le tecnologie vengono usate dalla popolazione e normate dal legislatore e di come, conversamente, le tecnologie modifichino l’idea di popolo e di attività legislativa. […] In un contesto di elevata complessità come quello che ho brevemente descritto (e che viene assai meglio descritto e approfondito nel libro che vi apprestate a leggere), sono naturalmente destinati a fallire tutti i tentativi che cercano di ridurre la democrazia a una delle sue componenti: la democrazia è, come dice una famosa canzone di Giorgio Gaber, partecipazione, però anche trasparenza (ma non solo trasparenza); la democrazia è libertà di conoscenza e di informazione, ma anche il riconoscimento di una serie di diritti che vanno aldilà del diritto positivo; infine (ma solo per finire questo elenco rapsodico e incompleto) la democrazia è anche, io credo, la possibilità del singolo di delegare razionalmente il proprio potere di decisione politica, al fine di proseguire la propria personale ricerca della felicità.
Dall’Introduzione di Andrea Rossetti