Action movies come Terminator e Robocop, l’affascinante Blade Runner, gli inquietanti body horror di Cronenberg o la famosa trilogia di Matrix (1999): questi film esprimono, tramite immagini, spunti filosofici sulla nostra epoca che si inciampa nei fili elettrici. Il libro analizza la cinematografia cyberpunk attraverso lo sguardo del filosofo, evidenziando quegli elementi che fungono da metafore per una critica della cosiddetta postmodernità. La sensibilità cyberpunk si nutre di tre geniali invenzioni artistiche interpretabili dal punto di vista filosofico: la particolare ambientazione, il cyborg e il cyberspazio.
L’ambientazione in un futuro distopico popolato da cinici antieroi viene così correlata alle trattazioni di Fredric Jameson (Postmodernism, 1984) e Franco Berardi (Mutazione e Cyberpunk, 1994) che ne fanno metafora del disagio dell’individuo postmoderno. Il cyborg invece, ibrido fantascientifico fra macchina e uomo, pone quesiti ontologici sul rapporto fra corpo e mente, sulla possibilità dell’intelligenza artificiale, sulla percezione della corporeità e della sessualità nella nostra epoca e infine sulla nozione di soggettività nel postmoderno. Fra gli altri autori viene analizzata diffusamente l’opinione della cyberfemminista Donna Haraway nel suo Manifesto Cyborg (1985). Infine il cyberspazio, in quanto universo simulato in cui viene proiettata la coscienza senza corpo, è qui indagato come simbolo dell’ambiguità postmoderna nei confronti della nozione filosofica di ‘realtà’, tramite l’accostamento del film Matrix al mito della caverna di Platone e all’ipotesi del genio maligno di Cartesio. Il cyberspazio è anche successivamente considerato come simbolo della concezione del mondo, come emanazione proiettiva della coscienza, in particolare secondo le indicazioni di Berardi che lo paragona all’empirismo di Berkeley. Infine, come ogni mondo parallelo, il cyberspazio rappresenta anche una dimensione psicologica: quella della derealizzazione o depotenziamento vitale.