Nel secondo dopoguerra del Novecento, la qualificazione sociale dello stato democratico diviene in Occidente il baricentro della legittimazione del potere politico per la costruzione di forme istituzionali qualitativamente avanzate, in grado di realizzare ideali di giustizia sociale, oltre che di stabilità e sviluppo economico. La peculiarità dello stato sociale si forgia nella cogenza e concretezza del principio di uguaglianza, formale e sostanziale, sebbene storicamente esso nasca per affrontare ed eliminare la durezza di vita e lo sfruttamento delle classi subalterne. Con l’attivazione dei diritti sociali […] s’imposta una linea storica per l’adempimento di una condizione di benessere nell’uguaglianza per tutti i cittadini: nasce il welfare state […] un nuovo e più moderno sistema di sicurezza sociale, nel quale ogni bisogno ritenuto essenziale è oggetto di intervento normativo e istituzionale […]. All’inizio degli anni Settanta, il quadro dei sistemi di protezione sociale in Europa arrivò a essere caratterizzato da livelli di prestazioni e di tutela mai raggiunti in passato. Il welfare state aveva raggiunto il suo apice grazie anche a una nuova stagione di riforme sociali. La fase che si avvia da lì a poco avrebbe visto invece la brusca interruzione di questo processo di crescita e la messa in discussione degli stessi principi di fondo ai quali le politiche si erano ispirate fin dall’immediato secondo dopoguerra. I ritmi di espansione del welfare state, accompagnati da pressione fiscale, disavanzi di bilancio, debito pubblico e disoccupazione diventano incompatibili con un contesto economico profondamente segnato dalla crisi. […] In discussione non è […] la legittimazione del welfare state, ma la sua capacità di tornare a funzionare come robusto argine contro l’insicurezza sociale e come strumento di redistribuzione e di uguaglianza.
Dall’introduzione di G. Schiavone